A cura della dott.ssa Silvia Riva

Che cos’è la pandemic fatigue?

La pandemic fatigue (o stress da pandemia) può  essere descritta come una condizione di stanchezza mentale nel seguire con perseveranza e attenzione tutti i comportamenti di prevenzione al contagio (e.s. il lavaggio delle mani, il distanziamento sociale, l’uso e il cambio della mascherina) e nell’accettare i divieti sociali prescritti dai nostri governi (e.s. non uscire di casa se non strettamente necessario).

Chi ha descritto la pandemic fatigue?

Si tratta di una condizione segnalata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che si è riscontrata in  tutti i Paesi del mondo sia tra le persone che hanno avuto l’esperienza diretta del contagio e sia tra quelli che non sono stati contagiati personalmente.

Perché non è da sottovalutare?

Perché si tratta di una condizione che crea un forte stress. L’uomo, al pari degli altri esseri animali, è pronto per natura a reagire al pericolo (ovvero a una situazione stressante). Tuttavia, quando lo stress diventa prolungato, il meccanismo si inceppa con conseguenze sui processi fisici e mentali. A livello fisico, lo stress prolungato può compromettere il nostro sistema immunitario rendendoci più vulnerabili a patologie e infezioni. A livello mentale, lo stress ci rende demotivati e con una percezione di noi stessi come meno capaci di far fronte a un evento negativo.

Quali sono i rischi nella vita di tutti i giorni?

Questo forte stress rischia di alterare la percezione della pandemia come una situazione del tutto imprevedibile e senza fine. Una percezione di questo tipo potrebbe rendere molto più difficile gestire i flussi delle persone durante i lockdown, implementare misure di prevenzione e comunicare le informazioni sulla salute (e.s. l’importanza di avere un sistema di tracciamento come risorsa per i cittadini oppure l’importanza di vaccinarsi).

Chi sono le persone più esposte?

Siamo tutti esposti alla pandemic fatigue in modo trasversale. Questo stress è purtroppo sostenuto anche dall’attuale situazione sociale nella quale si sono combinate insieme emergenza sanitaria con emergenza economica: problemi lavorativi, incertezza, smart working, aumento di povertà, difficoltà famigliari.

Inoltre, giornali e social media spesso non aiutano. Sono abituati a veicolare una quantità molto elevata di informazioni sulla pandemia, non sempre con coerenza, precisione e logicità. Un’informazione non precisa o non coerente ci rende più affaticati a livello mentale.

Che cosa possiamo fare come cittadini?

Come sottolineato dalla stessa OMS è fondamentale che le persone si percepiscano come parte attiva del processo per sconfiggere la pandemia. Qualche esempio?

  • Attuare i comportamenti di igiene e prevenzione con sistematicità, come parte della nostra routine
  • valorizzare gli aspetti funzionali dello smart working
  • programmare con più consapevolezza la necessità delle nostre uscite da casa
  • affidarsi a fonti di informazioni ufficiali e alla lettura dei lavori scientifici
  • bilanciare con ragionevolezza i pro e i contro di affrontare un viaggio

Che cosa può fare la ricerca scientifica?

Alla St Mary’s University di Londra dove lavoro come Professore associato (Senior lecturer) insieme al mio ruolo come psicologa e psicoterapeuta a DottoreLondon, stiamo cercando di comprendere l’impatto dell’infezione a livello psicologico e, tra i diversi obiettivi, abbiamo anche quello di esplorare tale condizione. Il progetto (Unravelling Data for Rapid Evidence-Based Response to COVID-19, unCoVer, Grant ID:101016216) vuole identificare dei profili di rischio all’esposizione combinando dati medici con quelli sociali, psicologici, economici e territoriali in 29 Paesi.